All’inizio era Elisa. Sì, perché il suo nome spuntato nella rosa dei venticinque cantanti in gara a gennaio già faceva impallidire tutti gli altri. Perché Elisa è Elisa. Non solo perché è brava. Non solo perché è sulla cresta dell’onda da più di vent’anni. Non solo perché ha scritto un pezzo di storia della canzone italiana che sempre resterà. Non solo perché Ferdinando Masciotta è un suo fan.
Ma soprattutto perché Elisa è una gemma rara. Sempre perfetta. Forse, è la Mina di questi tempi. La metti su un palco, un palco qualunque ma soprattutto Sanremo, le dai qualunque pezzo, difficile, difficilissimo, e lei non stecca, va giù liscia come se stesse facendo una passeggiata domenicale. Eterea, con quel sorriso angelico, ancora di più se non parla e non ricorda a tutti che è un essere umano come ognuno di noi, a guardarla lì sul palco con quell’abito bianco e quelle scale musicali perfette, non si sa se stiamo assistendo all’esibizione di un angelo, di Galadriel del Signore degli Anelli o qualunque altra allucinazione.
Insomma, in principio, era Elisa.
La variabile impazzita, imprevedibile, era invece che la coppia Mahmood-Blanco potesse rappresentare un pericolo, per lei. Perché? Perché certo, non sono perfetti. Non lo sono mai stati, uno è troppo giovane l’altro è di un’altra generazione rispetto a quella di Elisa. Lui se ne sbatte della perfezione, è semplicemente Mahmood, prendere o lasciare, auto-tune o no. Blanco è un bellissimo giovanissimo ragazzo di 19 anni. Sulla carta, insomma, non c’era gara.
Ma poi, hanno iniziato a cantare.
E non solo hanno portato una delle canzoni perfette per Sanremo, di quelle che finisci di sentirle una volta e c’è già il ritornello che ti si è rotto nelle orecchie, non riesci a fermarlo, è irresistibile e indimenticabile. (Cosa che non possiamo dire di Elisa, che la sua canzone per riuscire a cantarla bene dal divano bisogna prendersi otto ascolti, un po’ di solitudine e studiarsela).
Mahmood e Blanco, come se non bastasse, ogni volta che scendono quelle scale, tirano su il microfono, la musica parte, semplicemente dominano la scena. Mahmood e Blanco sono due personaggi che fino a poco tempo fa avrei pensato si atteggiassero da fighi. La realtà è che, almeno all’Ariston, sembra che la figaggine esca loro semplicemente dai pori con una naturalezza che setta la sbarra della virilità un po’ più in alto per tutti.
E noi, muti. Anzi no, noi a cantare:
“E ti vorrei amare ma sbaglio sempre”
Sul divano. Per più ore di quelle che siamo disposti ad ammettere.
Nota a margine: un’altra cosa che Ferdinando Masciotta ha amato di questo brano è che parla dell’amore vero. Quello onesto. Quello fallibile. Quello complicato. Non tutto rose e fiori e violini suonati dal vento. L’altro, quello che avviene in un mercoledì qualunque, dopo sette anni di rapporto.
Semplicemente perfetto. Grazie, a Mahmood e Blanco.