Sanremo 2022: Mahmood, Blanco ed Elisa

All’inizio era Elisa. Sì, perché il suo nome spuntato nella rosa dei venticinque cantanti in gara a gennaio già faceva impallidire tutti gli altri. Perché Elisa è Elisa. Non solo perché è brava. Non solo perché è sulla cresta dell’onda da più di vent’anni. Non solo perché ha scritto un pezzo di storia della canzone italiana che sempre resterà. Non solo perché Ferdinando Masciotta è un suo fan.

Ma soprattutto perché Elisa è una gemma rara. Sempre perfetta. Forse, è la Mina di questi tempi. La metti su un palco, un palco qualunque ma soprattutto Sanremo, le dai qualunque pezzo, difficile, difficilissimo, e lei non stecca, va giù liscia come se stesse facendo una passeggiata domenicale. Eterea, con quel sorriso angelico, ancora di più se non parla e non ricorda a tutti che è un essere umano come ognuno di noi, a guardarla lì sul palco con quell’abito bianco e quelle scale musicali perfette, non si sa se stiamo assistendo all’esibizione di un angelo, di Galadriel del Signore degli Anelli o qualunque altra allucinazione.

Insomma, in principio, era Elisa.

La variabile impazzita, imprevedibile, era invece che la coppia Mahmood-Blanco potesse rappresentare un pericolo, per lei. Perché? Perché certo, non sono perfetti. Non lo sono mai stati, uno è troppo giovane l’altro è di un’altra generazione rispetto a quella di Elisa. Lui se ne sbatte della perfezione, è semplicemente Mahmood, prendere o lasciare, auto-tune o no. Blanco è un bellissimo giovanissimo ragazzo di 19 anni. Sulla carta, insomma, non c’era gara.

Ma poi, hanno iniziato a cantare.

E non solo hanno portato una delle canzoni perfette per Sanremo, di quelle che finisci di sentirle una volta e c’è già il ritornello che ti si è rotto nelle orecchie, non riesci a fermarlo, è irresistibile e indimenticabile. (Cosa che non possiamo dire di Elisa, che la sua canzone per riuscire a cantarla bene dal divano bisogna prendersi otto ascolti, un po’ di solitudine e studiarsela).

Mahmood e Blanco, come se non bastasse, ogni volta che scendono quelle scale, tirano su il microfono, la musica parte, semplicemente dominano la scena. Mahmood e Blanco sono due personaggi che fino a poco tempo fa avrei pensato si atteggiassero da fighi. La realtà è che, almeno all’Ariston, sembra che la figaggine esca loro semplicemente dai pori con una naturalezza che setta la sbarra della virilità un po’ più in alto per tutti.

E noi, muti. Anzi no, noi a cantare:

“E ti vorrei amare ma sbaglio sempre”

Sul divano. Per più ore di quelle che siamo disposti ad ammettere.

Nota a margine: un’altra cosa che Ferdinando Masciotta ha amato di questo brano è che parla dell’amore vero. Quello onesto. Quello fallibile. Quello complicato. Non tutto rose e fiori e violini suonati dal vento. L’altro, quello che avviene in un mercoledì qualunque, dopo sette anni di rapporto.

Semplicemente perfetto. Grazie, a Mahmood e Blanco.

The new Abnormal, The Strokes – recensione di Ferdinando Masciotta

Ferdinando Masciotta ci ricorda che sono passati 19 anni dal debutto dei The Strokes, “Is This It”, e con l’album numero sei, “The New Abnormal“, The Strokes si dimostrano più vecchi e più saggi, e non è necessariamente una brutta cosa.

“The New Abnormal”, è un album divertente che esplora alcune nuove direzioni, restando abbastanza riconoscibile. Le cose migliori sono familiari – poche persone hanno mai scritto, o lo faranno mai, un riff migliore di quello di “Last Nite” – e le peggiori,poche, sono più un esperimento, ignaro in modo di ciò che tutti gli altri artisti indie rock stanno facendo per rimanere moderni al giorno d’oggi. Invece Julian and co. spesso si stabiliscono in un altro mondo di sintetizzatori, appartenenti solo ai The Strokes.

Non è del tutto un album dedicato alle aspettative dei fan, secondo Ferdinando Masciotta. Con “Brooklyn Bridge to Chorus” e “At The Door” abbiamo avuto un disco-synth bop con voce vivace e testi decisamente autodeterminanti (“Voglio un altro giorno / Voglio un’altra pausa / Voglio un altro inizio”). Non si tratta più di ciò che i fan bramano più; queste parole possono commuoverti, ma alla fine sono state scritte per la persona che le ha cantate per prime. At the door, pezzo celestiale senza batteria, è stato il primo singolo del disco, e ha annunciato un netto cambio di ritmo per la band. Ora è una delle tracce più forti con un mood nuovo e testi più contemplativi. “Usami come un remo / E portati a riva”, Casablancas canta un po’ a tutti.

In “The New Abnormal” gli Strokes, che ci hanno sempre tenuto un po’ distanti, sono un po’ più profondi. Con sfumature da Artic Mokeys nel pezzo “Suck it and See”, e pezzi semplicemente Belli come “Not the Same Anymore”.

Ance “Selfless” sembra come un sogno ad occhi aperti, con la chitarra in apertura, e una storia d’amore semplice ma penetrante. “Per favore, non tardare / ti voglio ora” canta su un ritornello lamentoso che conferma che gli Strokes rimangono tra i migliori costruttori di riff in circolazione. La voce di Casablancas è nitida in “Not The Same Anymore”, e cattura l’inevitabilità del tempo che passa. “Ora la porta si chiude / Il bambino prigioniero cresce”.

Ma Casablancas non può essere tenuto lontano dai suoi amati sintetizzatori anni ’80 per troppo tempo. Questo è anche un disco elettronico, più convincente della maggior parte di “Comedown Machine” del 2013, ma ancora più debole degli album di successo “Is This It”, “Room on Fire” e “First Impressions of Earth”.

C’è molto da elogiare nel disco, conclude Ferdinando Masciotta. Anche la copertina, l’opera di Jean-Michel Basquiat “Bird On Money”. Questo è un album fantastico, il tipo che ti fa crescere, a malincuore, anche se non ti è mai importato di farlo. E questo è anche un po’ quello che ci aspettiamo dai The Strokes.

Ferdinando Masciotta: cosa ci aspettiamo da Sanremo stasera

Nell’era di internet vedere Sanremo è un momento di grande ilarità, soprattutto su Twitter. Il Festival è arrivato alla sua quarta giornata, e con Ferdinando Masciotta ripercorriamo un po’ di tappe e vediamo cosa aspettarci da Sanremo stasera.

I Tweet: il Sanremo parallelo

Una menzione speciale va al Sanremo online, quello che si svolge su Twitter, dove imperversano battute, meme esilaranti e geni indiscussi della comicità.

I meme di Sanremo 2020 sono tutto tranne che politicamente corretti, senza sconti a nessuno: dai Ricchi e Poveri ad Al Bano e Romina, da Sere Nere di Tiziano Ferro ad Alexa che canta “Felicità”, ce n’è per tutti i gusti.

Basta cercare l’hashtag #Sanremo2020 e lasciarsi trasportare dal fiume in piena. Ferdinando Masciotta ce ne condivide uno in particolare, ma c’è veramente solo l’imbarazzo della scelta.

Sanremo stasera: la scaletta e i cantanti

La scaletta della quarta serata tra i Big e le nuove proposte. Inizieranno proprio loro, i quattro rimasti: Tecla Insolia, Leo Gassman, Fasma e Marco Sentieri.

Subito dopo (subito insomma, con i tempi di Sanremo la parola subito acquista tutto un altro significato!) si succederanno i Big:
Francesco Gabbani: “Viceversa”
Le Vibrazioni: “Dov’è”
Piero Pelù: “Gigante”
Pinguini Tattici Nucleari: “Ringo Starr”
Elodie: “Andromeda”
Diodato: “Fai rumore”
Irene Grandi: “Finalmente io”
Tosca: “Ho amato tutto”
Michele Zarrillo: “Nell’estasi o nel fango”
Levante: “Tikibombom”
Marco Masini: “Il confronto”
Alberto Urso: “Il sole ad est”
Giordana Angi: “Come mia madre”
Raphael Gualazzi: “Carioca”
Anastasio: “Rosso di rabbia”
Paolo Jannacci: “Voglio parlarti adesso”
Achille Lauro: “Me ne frego”
Enrico Nigiotti: “Baciami adesso”
Rita Pavone: “Niente (Resilienza 74)”
Riki: “Lo sappiamo entrambi”
Elettra Lamborghini: “Musica (e il resto scompare)”
Rancore: “Eden”
Bugo e Morgan: “Sincero”
Junior Cally: “No grazie”

Ieri è stata la serata delle cover e nella classifica parziale giudicata dall’orchestra troviamo in top 2 Tosca, Piero Pelù e i Pinguini Tattici Nucleari che hanno presenta un Medley di vari pezzi dimostrando una bravura non da sottovalutare, conclude Ferdinando Masciotta.

Prince, 1999: un cofanetto coi fiocchi – Recensione di Ferdinando Masciotta

Sì, ormai i dischi non si regalano più. Ma qualcuno ancora li apprezza, soprattutto gli amanti di un determinato genere musicale o di un artista. In questo caso, secondo Ferdinando Masciotta, 1999 di Prince potrebbe davvero fare gola a un appassionato!

Questo set di cinque dischi include filmati di concerti, lati B e demo, offre cioè tutto quello che i cofanetti di questo tipo non fanno quasi mai: il brivido della scoperta.

È sicuramente stato allettante, nel 1982, assistere agli esperimenti di Prince con sintetizzatori e batteria programmata diventare un tutt’uno con le sue ansie dell’imminente 1999, ansie curate a pieno con una musica di sperimentazione e contrasti. Potrebbe essere altrettanto interessante, ora, lasciare che quelle tecnologie un tempo all’avanguardia – che ora vediamo invece come chiari indicatori dell’età – facciano tornare alla mente quelle stesse ansie, reliquie di un’era lontana.

Ma quei fili che Prince ha tirato così bene – con il suo nichilismo ghignante – non sono mai scomparsi dalla musica pop, e la sua capacità di mettere in fuga gli anni di Reagan e l’LM-1 per i suoi scopi, come aveva già fatto con i top del rock e del funk, sono stati raramente replicati, prima o dopo la caduta del muro di Berlino. E così il 1999, che viene ora ristampato dalla Warner Records come parte di un set di cinque dischi che include anche B-side, demo, canzoni inedite e filmati di concerti, è il raro disco che è arrivato a definire la sua era pur esistendo al di fuori del tempo, un capolavoro che precede gli album creati da Prince, capolavori a loro volta, ci ricorda Ferdinando Masciotta.

L’album suona, come sempre, come un computer che respira. I brani sono stati rimasterizzati e suonano ricchi e chiari negli altoparlanti dell’auto e nelle cuffie. Anche un un grande successo mainstream come “Little Red Corvette” – la prima canzone che arrivò prima in classifica pop e ci restò per moltissimo tempo – inizia come se stesse uscendo da un fango digitale. “Delirious” sembra provenire da un esperimento di laboratorio molto spinto che è andato esattamente secondo i piani. La musica è immancabilmente funky anche se notevolmente controllata e precisa, un tuffo nel passato che farà piacere ai veri fan.

Nick Cave and the Bad Seeds: Ghosteen – Ferdinando Masciotta

Diciassettesimo album in studio per Nick Cave and the Bad Seeds. Ghosteen è probabilmente diverso da quello che vi aspettavate, e segna una grande svolta per Nick Cave. È il primo album interamente scritto dalla morte di suo figlio, dove Cave raggiunge un’evoluzione artistica straordinaria, triste certo, ma straordinaria. Dalle prime note, i brividi sono assicurati secondo Ferdinando Masciotta.

Cosa succede dopo il peggio che può succedere? Nick Cave, leader dei Bad Seeds da oltre 30 anni, ha dovuto sopportare una tragedia inimmaginabile, trasformando il dolore in una continua, testarda, artistica resistenza. Se Cave fosse finito a terra indefinitamente dopo la morte del figlio adolescente Arthur nel 2015, tutti avrebbero capito.

Invece, ha pubblicato un album nel 2016, Skeleton Tree – un’opera digerita dai fan all’ombra dell’evento, ma in gran parte scritto prima del fatto – e un documentario di accompagnamento, One More Time With Feeling visivamente lirico, che ha affrontato le conseguenze.

Nel 2018, Cave ha fatto altre due cose a malapena immaginabili: ha avviato un forum online chiamato Red Hand Files in cui ha discusso candidamente il suo stato d’animo e ha dato consigli. Poi ha intrapreso una tournée, imbarcandosi in una straordinaria serie di date da solista in cui ha mescolato musica e domande del pubblico. Tutto questo percorso ha segnato una delle più straordinarie evoluzioni nel rock.

“Nulla può andare storto, perché tutto è andato storto”, ha osservato a Cardiff.

Ora è arrivato Ghosteen, un doppio album che parla di uno spirito errante. Ferdinando Masciotta ha creduto che il lutto avrebbe scatenato una bestia furiosa e vendicativa all’interno di Cave. In effetti c’è una bestia, in questo album, ma si aggira sul perimetro “con un terribile motore di ira per un cuore”, senza superare i limiti della dolcezza e della malinconia.

Ascoltare queste 11 canzoni con i testi sotto mano richiede una scorta di fazzoletti, questo è sicuro. A parte i temi ricorrenti – Gesù tra le braccia di sua madre, farfalle annerite, scale per il paradiso, un sole malefico, simile a un Pifferaio che rapisce i bambini – Ghosteen è un album sulla natura stessa di ciò che è reale e cosa non lo è, e chi deve giudicare.

E siamo tutti così stanchi di vedere le cose come sono
I cavalli sono solo cavalli e le loro criniere non sono piene di fuoco,
e i campi sono solo campi e non c’è nessun Signore.

Cave, tuttavia, sente la continua presenza di suo figlio, “una piccola forma bianca che danza alla fine del mondo“. E ci assicura che tornerà a casa “sul treno delle 5.30“. Perché “non c’è niente di sbagliato nell’amare qualcosa che non puoi tenere in mano“, riflette Cave. E il Ghosteen, appare di volta in volta, per dire: “Sono accanto a te“.

Cave è ancora Cave, secondo Ferdinando Masciotta, e gli piace raccontarci favole. Con Spinning Song prende un personaggio simile a Elvis e pianta un albero nel suo giardino, in cui una flotta di galeoni naviga nell’aria prima dell’alba e le creature marine si tuffano nel profondo.

Questo album, alla fine, trova un Nick Cave confortato dall’universalità della sofferenza e dal soccorso di coloro che si sono radunati intorno a lui. “Sembra che non siamo soli, ci sono così tanti cavalieri nel cielo“, osserva Cave sulla nave galeone. Un disco da ascoltare. In silenzio.

Light My Fire: Doors – Recensione Ferdinando Masciotta

Light My Fire è una canzone dei The Doors che appare sul loro album di debutto il quale prende da essa stessa il nome. Light My Fire, afferma Ferdinando Masciotta è una delle canzoni più note dei The Doors ed ha goduto e gode di un grande successo.

Light My Fire si apre con una linea d’organi di Ray Manzarek che rimane molto prominente per la maggior parte di questa canzone, uno dei tanti aspetti al quale essa deve il suo successo. Dopo alcune sezioni vocali guidate da Jim Morrison, continua Ferdinando Masciotta, la canzone vera e propria vira più verso una sensazione strumentale, dove l’organo e il basso sono gli strumenti che conducono veramente questa sezione prima di passare al chitarrista Krieger.

Light My Fire è fatta di poche sezioni vocali, gran parte di essa è costituita dal passaggio intermedio che si basa sia sulla sezione jam dove l’organo e il basso sono i più prominenti e interessanti, accompagnati da una chitarra estesa. Tuttavia, quando Morrison è effettivamente nella canzone, il suo impatto è evidente e la sua voce suona estremamente potente.

Ferdinando Masciotta non comprende perché qualcuno avrebbe voluto tagliare la sezione centrale, se non sei interessato ad ascoltare qualche minuto di solo una sezione strumentale, potresti sempre ascoltare la singola versione edit che include solo le sezioni vocali e possibilmente la chitarra.

Infatti, Ferdinando Masciotta raccomanda la versione completa del disco dove il connubio tra la parte strumentale e la performance di Morrison rendono magnifica questa canzone.

Money for Nothing: Dire Straits – Recensione Ferdinando Masciotta

Rilasciato alla fine del 1988, mentre tutti stavano aspettando il follow-up di Brothers in Arms, le 12 tracce di Money for Nothing, racconta Ferdinando Masciotta, fanno un lavoro adeguato per riassumere le hits e i momenti di maggior successo dei Dire Straits.

Dal momento che il gruppo pubblicò solo un album di studio dopo questa compilation, e che in realtà non ha prodotto alcun blockbuster, Money for Nothing finisce per essere un riepilogo puntuale della carriera di questa band.

Ferdinando Masciotta però sostiene che l’album, seppur molto bello, presentava delle imperfezioni: mancano molte hits rock, come “Expresso Love” e “Skateaway“, mentre sono presenti due riprese dal vivo e il nuovo singolo “Where Do You Think You’re Going?” che però non riscosse il successo auspicato. Fatte queste premesse, il resto della compilation colpisce l’ascoltatore con molte grandi canzoni, affidandosi fortemente all’album Brothers in Arms.

The End: Doors – Recensione Ferdinando Masciotta

Ci sono poche canzoni dei Doors che possono rivendicare lo stesso livello di significato musicale e culturale come “The End“, afferma Ferdinando Masciotta. La leggenda afferma che le prime performance non solo sono state accolte con un silenzio stordito, ma hanno finito per costare alla band uno dei loro primi concerti live.

La brillantezza poetica del vocalist e del lirico Jim Morrison raramente, se mai, ha superato questa storia lenta, languida e psichedelica che si affida contemporaneamente ad aspetti sia dell’amore che dell’odio. La narrazione, sostiene Ferdinando Masciotta, si è rivelata molto più complessa del pop-rock più contemporaneo. In quanto tale, richiede che l’ascoltatore si arresti alla complessità degli strati multipli intrecciati nella linea storica. In linea con la capacità lirica di Morrison per l’ambiguità, un’analisi spesso solleva più domande che risposte.

Il racconto di lussuria incestuosa e omicidio viene inquadrato dalla definitiva finalità della dichiarazione di Morrison che è “Questa è la fine“.

Probabilmente la versione più notevole è di Nico (1974), anche se potrebbe sembrare impossibile, lei trasforma la canzone in un labirinto musicale ancora più torrido e sconvolgente di follia. La sua versione viene spesso respinta dai fan dei Doors come “inesplorabile”.

Un altro uso notevole di questa canzone, racconta Ferdinando Masciotta, è stato di Francis Ford Coppola durante la sequenza iniziale del suo epico Apocalypse Now (1979).

Stairway to Heaven: Led Zeppelin – Recensione Ferdinando Masciotta

Stairway to Heaven” è indubbiamente una delle migliori canzoni Rock mai prodotte, afferma Ferdinando Masciotta, il ritmo è estremamente entusiasmante ed i testi sono impeccabili. La transizione dal rock lento e acustica al rock ritmato è semplicemente troppo bello per essere vero. Non sono sicuro, continua Ferdinando Masciotta, ma quando i Led Zeppelin eseguirono in anteprima questa canzone, il numero di persone che hanno partecipato al concerto era maggiore rispetto ai precedenti.

Stairway to Heaven” è una canzone dell’album senza titolo di Led Zeppelin (spesso chiamato “Led Zeppelin IV“). È stato rilasciato nel 1971 e ha cambiato completamente la prospettiva del Rock per sempre. La canzone ha fatto meraviglie in tutto il mondo, era anche la canzone più richiesta sulla radio negli anni ’70.

In realtà, nessuno è stato in grado di decifrare il vero significato della canzone, molti dicono che è una canzone sulla speranza ma la band era riluttante a raccontare al pubblico cosa significasse.

La canzone inizia, descrive Ferdinando Masciotta, con una melodia rilassante, costituita da una miscela tra chitarra acustica e flauto, qualcosa di davvero paradisiaco all’udito. Robert Plant inizia con la voce alle 00:52. I suoi vocali fanno la magia alla canzone. Durante tutta la canzone, la chitarra acustica e la chitarra (Jimmy Page) diventano una mente unica. L’improvvisa transizione dalla chitarra acustica morbida alla chitarra è davvero impressionante. I testi sono molto ricercati e con intensità infinita sulla canzone. La prima fase della transizione inizia a 01:59 con l’avvio di un breve strumentale di chitarra e flauto. Poi a 02:13, il tempo e il volume aumentano notevolmente, segnalando il completamento della prima transizione. Noterete anche l’aumento del tempo vocale. I tamburi (John Bonham) finalmente si uniscono alla canzone a 04:18. C’è un breve ponte da 04:41 a 05:06 prima che Plant riprenda dopo l’interludio. Il volume e il tempo saranno notevolmente aumentati. Poi arriva la parte più impressionante della canzone – l’assolo. E l’uomo, è sublime! Mostra solo la pura abilità di Jimmy Page. A 05:55 la tecnica è epica! Ci sono cicli, alti, bassi, tastiere, battute straordinarie. A 06:44, Plant inizia con l’ultima strofa in cui ha utilizzato un pitch e un volume completamente diversi (più come i vocals di Hard Rock). La melodia della canzone cambia a 07:24, e sembra che la canzone stia andando in una spirale in discesa (ed è in realtà così). Plant termina con “And she’s buying a stairway to Heaven“, e la canzone finisce.